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COMUNICARE IN MODO EFFICACE: CHE COS’E’ L’ASSERTIVITA’?

 

 

Comunicare in modo efficace: che cos’è l’assertività?

 

La comunicazione è un processo apparentemente semplice, basato sullo scambio di informazioni tra persone. Tali informazioni possono riguardare fatti accaduti, sentimenti provati, opinioni. Ogni scambio, però, implica il coinvolgimento di caratteristiche e qualità personali, che si traducono nel modo in cui parliamo, nel tono di voce, nella gestualità. Tutti questi elementi vengono colti dall’interlocutore e influiscono sulla sua reazione a ciò che diciamo. Spesso non ci rendiamo conto di questi aspetti e possiamo ricevere o dare una risposta aggressiva inaspettata e soprattutto priva di ogni apparente spiegazione.

Un’abilità fondamentale dei processi comunicativi è l’assertività. Essere assertivi significa saper esprimere se stessi e far valere il proprio punto di vista rispettando le idee ed i diritti degli altri.

La comunicazione assertiva è rispettosa dell’altro e di se stessi, permettendo di comunicare ciò che vogliamo dire in modo diretto e chiaro. L’aspetto centrale di tale abilità consiste nel fatto che migliora le possibilità di far arrivare un messaggio all’altro e che esso venga considerato nella sua completezza, senza fraintendimenti di sorta. Al contrario, se comunichiamo in modo aggressivo o passivo il contenuto del messaggio può andare in secondo piano perché le persone rischiano di focalizzarsi troppo sul modo in cui è stato espresso e reagire a queste modalità di comunicazione più che al contenuto.

 

Due modalità di comunicazione distanti dall’assertività sono la passività e l’aggressività.

Chi ha uno stile di comunicazione interpersonale passivo, potrebbe avere difficoltà a farsi ascoltare, tenendo il proprio parere per sé e adeguandosi a quello che decidono gli altri. L’interlocutore potrebbe interpretare tale comportamento come segno di scarsa importanza di ciò che si pensa o si sente; nei casi limite, può approfittarsi di tale tendenza, non considerando i bisogni e il punto di vista della persona passiva.

Questo può accadere quando, ad esempio, un amico ci chiede in prestito un oggetto a cui noi teniamo moltissimo e l’amico lo sa benissimo. Noi, per timore di rovinare l’amicizia non riusciamo a dire di no e prestiamo l’oggetto. Ma dire sempre di si può anche rovinare le relazioni e spingere gli altri ad approfittarsi di noi.

All’estremo opposto c’è la modalità comunicativa aggressiva, caratteristica di coloro che non accettano le opinioni altrui non lasciando spazio agli altri, cercando di imporre la propria. In questo caso, non si tiene conto dei bisogni degli altri, del loro modo di sentirsi. Le persone che risultano aggressive umiliano ed intimidiscono gli altri; possono anche arrivare ad essere minacciose sul piano fisico e, nel peggiore dei casi, violente. Nel lungo termine, la modalità aggressiva allontana gli altri, i quali non si fidano più e tendono ad evitare la persona che mette in atto tale stile.

 

Ognuno di noi è caratterizzato dalla prevalenza di uno stile comunicativo, che si sviluppa sulla base delle specifiche esperienze di vita. Nel momento in cui ci rendiamo conto che il modo in cui comunichiamo crea disagio a se stessi e agli altri possiamo lavorare su di noi per acquisire uno stile assertivo e stare meglio.

Il training di assertività può essere utile per:

  • Conoscere meglio se stessi, attraverso l’analisi delle proprie modalità di funzionamento relazionale e sociale;
  • Migliorare le proprie capacità relazionali;
  • Costruire una buona immagine di sé, imparando a rispettare i diritti propri e altrui;
  • Comunicare in modo più efficace;
  • Riuscire a gestire i conflitti, manifestando il proprio disaccordo ed esprimendo il proprio punto di vista in modo funzionale;
  • Ricevere una critica e formulare critiche costruttive.

 

EMOZIONI E CAPRICCI NEI BAMBINI

EMOZIONI E CAPRICCI NEI BAMBINI

Spesso, chi ha a che fare con i bambini, e in primo luogo i genitori, può ritrovarsi di fronte a comportamenti considerati inadeguati; mi riferisco ai capricci, alle lamentele continue, alle crisi di pianto, al non riuscire a stare fermi un attimo.

Quando ciò accade, la risposta che diamo è spesso un rimprovero. Il comportamento del bambino viene visto come un qualcosa da fermare, bloccare. Ma ci siamo mai chiesti perché i bambini, a volte, possono comportarsi in questo modo? Perché mettono in atto delle condotte che, nella maggior parte dei casi, sanno che non piacciono ai genitori?

La risposta è semplice: spesso i bambini provano delle emozioni che non sanno gestire. Pensiamoci bene: le emozioni sono quella componente della vita di ognuno di noi che non possiamo controllare, in quanto non possiamo impedire al nostro cuore di battere velocemente quando siamo in ansia, non possiamo evitare di arrossire se proviamo imbarazzo, non possiamo fermare la paura, la felicità. Noi adulti abbiamo, però, qualcosa in più rispetto ai nostri bambini: sappiamo dare un nome a ciò che proviamo, a ciò che accade al nostro corpo e alla nostra mente in certe situazioni. I bambini, soprattutto i più piccoli, invece, non possiedono questa competenza e il non sapere cosa stia succedendo al loro corpo e alla loro mente li porta a provare un forte disagio che, per essere superato, necessita di un azione: è in questo modo che, un’emozione, si trasforma in un’azione che un adulto può avere difficoltà a gestire in modo calmo ma allo stesso tempo deciso e autorevole.

Gli adulti possono aiutare il bambino nel corso della sua crescita favorendo lo sviluppo di quella che Goleman ha chiamato “Intelligenza emotiva”, ossia un insieme di abilità fondamentali e cioè:

  • Autoconsapevolezza delle proprie emozioni;
  • Capacità di automotivarsi: autostima, autoefficacia e ottimismo;
  • Percezione dell’esperienza emozionale altrui: l’empatia;
  • Gestione efficace delle relazioni interpersonali.

In che modo possiamo fare ciò? Un primo passo consiste nell’aiutare i bambini a dare un nome a ciò che provano: fornire ai nostri bimbi le parole può aiutarli a trasformare una sensazione sconosciuta e priva di un significato in qualcosa avente dei confini e una causa ben precisa.

Diversi studi hanno dimostrato che proprio l’atto di dare un nome alle emozioni ha di per sé un effetto rasserenante sul sistema nervoso, e aiuta i bambini a recuperare più in fretta nelle situazioni di turbamento. (John Gottman – Intelligenza Emotiva per un figlio).

In questo modo, il piccolo non ha più bisogno di scaricare la tensione, la rabbia non si trasforma in aggressività e la tristezza non diventa disperazione.

Favorire lo sviluppo dell’intelligenza emotiva è un processo lungo, che necessita di costanza da parte degli adulti. Ci vuole pazienza poiché, fino a quando il bambino non sarà capace autonomamente di definire le proprie emozioni e quelle degli altri, dovremo essere noi a definirle per lui.

È una funzione importante che noi abbiamo e che è pari a quella di insegnare a camminare, a parlare, a mangiare e vestirsi da soli.